Tra i tanti esercizi di scrittura e gli appunti sparsi, ci sono varie prove di "inizi". Gli incipit sono sempre la vetrina migliore che una storia possa esporre come biglietto da visita per il lettore curioso, quelle prime righe che lo prendono per mano e hanno il potere di coinvolgerlo a tal punto da nutrire la sua curiosità e indurlo a proseguire, riga dopo riga attraverso la narrazione.
Scrivere incipit è molto stimolante, permette di partire dal punto zero entrando a passo svelto nell'azione di una storia, in medias res. Ne ho tanti, accumulati e tenuti da parte in vista di possibili usi futuri.
Eccone uno che mi ha dato particolare soddisfazione in corso di stesura:
Labirinti.
Avanzava nei cunicoli, macinando
terra umida sotto le suole gommose delle Clarks. Anche se la fuga nelle
catacombe gli aveva dato un certo vantaggio, i suoi aggressori non sembravano
intenzionati a mollare e, si sa, un testimone scomodo è quasi sempre un uomo morto.
Marcus decise di concedersi un
attimo per prendere fiato e riorganizzare le idee. Mise una mano in tasca e
prese il cellulare sfiorandolo per far tornare in vita lo schermo ma, com'era
prevedibile, la batteria lo aveva abbandonato.
Era stato nel sottosuolo semibuio
di Torino altre volte con visite guidate e torce elettriche per illuminare le gallerie,
una volta persino per un concerto di musica sacra. Ora, quel labirinto di
stretti passaggi lo soffocava come un budello senza fine. Doveva trovare la sala
dell’altare popolata da angeli e demoni intenti a rappresentare l’eterna lotta
tra bene e male, sapeva che da lì era possibile tornare in superficie, dove
cercare aiuto.
Si sentiva addosso lo sguardo pesante
di quell'infinità di orbite vuote, teschi che un tempo avevano ospitato anime e
vissuto vite, oggi incastonati come pietre preziose nelle pareti terrose nella
città dei morti.
Il silenzio umido che lo
circondava si animò di un calpestio sommesso. Marcus si rannicchiò contro la
parete, il respiro si fece affannoso e temette che i rintocchi del suo cuore
potessero essere udibili anche a metri da lui. Si spostò verso una nicchia che ospitava
delle reliquie, sembrava abbastanza buia per non farsi notare. Scostò con
delicatezza le ossa per entrarvi e accucciarsi nell'ombra. Scusa, pensò sentendosi immediatamente stupido; al proprietario di
quei resti non doveva importare un granché se venivano profanati.
I passi si avvicinarono e
sostarono a lungo di fronte alla nicchia; poi gli scarponi neri arretrarono di
qualche passo. Marcus sudò freddo temendo che le proprie impronte fossero
visibili e che l’uomo stesse controllando il terreno. Se lo avesse scoperto
sarebbe morto lì e i suoi resti si sarebbero mescolati a quelli dei poveri
sventurati che già abitavano quei luoghi e, cosa peggiore, nessuno sarebbe mai
venuto a saperlo.
«Ruben» gracchiò la radio alla
cintola dello sconosciuto, «all'entrata est.» Si allontanò stringendo la
pistola in una mano e la torcia nell'altra.
Marcus poté riprendere a
respirare. Attese che i passi si spegnessero nel buio e uscì da quel giaciglio
improvvisato. Camminò rapidamente nella direzione opposta augurandosi che fosse
quella che conduceva alla via d’uscita, pregando che il rumore dei suoi passi
non attirasse l’attenzione. Corse, quasi volando, svoltò a destra e poi a
sinistra, un altro corridoio e la stanza dell’altare si aprì davanti a lui. La
ripida scalinata in cima alla quale filtravano fasci di luce naturale condusse
Marcus nell’atrio di Palazzo Saluzzo. Lasciò che l’aria fresca gli ripulisse i
polmoni e attraversò il cortile interno per raggiungere la strada. Qui si
guardò attorno nella speranza di scorgere una pattuglia o dei vigili urbani.
Percorse metà isolato e finalmente intravide un’auto con lampeggiante e due
agenti poco lontano. Iniziò a correre nella loro direzione agitando la mano per
farsi notare.
«Agente! Hanno ucciso un uomo.
Sono nelle catacombe. Mi stanno seguendo.»
Bene, se state pensando: "e ora? Cosa è successo? Come andrà a finire?" il mio scopo è stato raggiunto.
Tutti i diritti riservati. Vietata la copia anche parziale.
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