giovedì 9 febbraio 2017

Labirinti letterari

   Tra i tanti esercizi di scrittura e gli appunti sparsi, ci sono varie prove di "inizi". Gli incipit sono sempre la vetrina migliore che una storia possa esporre come biglietto da visita per il lettore curioso, quelle prime righe che lo prendono per mano e hanno il potere di coinvolgerlo a tal punto da nutrire la sua curiosità e indurlo a proseguire, riga dopo riga attraverso la narrazione.
   Scrivere incipit è molto stimolante, permette di partire dal punto zero entrando a passo svelto nell'azione di una storia, in medias res. Ne ho tanti, accumulati e tenuti da parte in vista di possibili usi futuri.
   Eccone uno che mi ha dato particolare soddisfazione in corso di stesura:


Labirinti.

Avanzava nei cunicoli, macinando terra umida sotto le suole gommose delle Clarks. Anche se la fuga nelle catacombe gli aveva dato un certo vantaggio, i suoi aggressori non sembravano intenzionati a mollare e, si sa, un testimone scomodo è quasi sempre un uomo morto.
Marcus decise di concedersi un attimo per prendere fiato e riorganizzare le idee. Mise una mano in tasca e prese il cellulare sfiorandolo per far tornare in vita lo schermo ma, com'era prevedibile, la batteria lo aveva abbandonato.
Era stato nel sottosuolo semibuio di Torino altre volte con visite guidate e torce elettriche per illuminare le gallerie, una volta persino per un concerto di musica sacra. Ora, quel labirinto di stretti passaggi lo soffocava come un budello senza fine. Doveva trovare la sala dell’altare popolata da angeli e demoni intenti a rappresentare l’eterna lotta tra bene e male, sapeva che da lì era possibile tornare in superficie, dove cercare aiuto.
Si sentiva addosso lo sguardo pesante di quell'infinità di orbite vuote, teschi che un tempo avevano ospitato anime e vissuto vite, oggi incastonati come pietre preziose nelle pareti terrose nella città dei morti.
Il silenzio umido che lo circondava si animò di un calpestio sommesso. Marcus si rannicchiò contro la parete, il respiro si fece affannoso e temette che i rintocchi del suo cuore potessero essere udibili anche a metri da lui. Si spostò verso una nicchia che ospitava delle reliquie, sembrava abbastanza buia per non farsi notare. Scostò con delicatezza le ossa per entrarvi e accucciarsi nell'ombra. Scusa, pensò sentendosi immediatamente stupido; al proprietario di quei resti non doveva importare un granché se venivano profanati.
I passi si avvicinarono e sostarono a lungo di fronte alla nicchia; poi gli scarponi neri arretrarono di qualche passo. Marcus sudò freddo temendo che le proprie impronte fossero visibili e che l’uomo stesse controllando il terreno. Se lo avesse scoperto sarebbe morto lì e i suoi resti si sarebbero mescolati a quelli dei poveri sventurati che già abitavano quei luoghi e, cosa peggiore, nessuno sarebbe mai venuto a saperlo.
«Ruben» gracchiò la radio alla cintola dello sconosciuto, «all'entrata est.» Si allontanò stringendo la pistola in una mano e la torcia nell'altra.
Marcus poté riprendere a respirare. Attese che i passi si spegnessero nel buio e uscì da quel giaciglio improvvisato. Camminò rapidamente nella direzione opposta augurandosi che fosse quella che conduceva alla via d’uscita, pregando che il rumore dei suoi passi non attirasse l’attenzione. Corse, quasi volando, svoltò a destra e poi a sinistra, un altro corridoio e la stanza dell’altare si aprì davanti a lui. La ripida scalinata in cima alla quale filtravano fasci di luce naturale condusse Marcus nell’atrio di Palazzo Saluzzo. Lasciò che l’aria fresca gli ripulisse i polmoni e attraversò il cortile interno per raggiungere la strada. Qui si guardò attorno nella speranza di scorgere una pattuglia o dei vigili urbani. Percorse metà isolato e finalmente intravide un’auto con lampeggiante e due agenti poco lontano. Iniziò a correre nella loro direzione agitando la mano per farsi notare.

«Agente! Hanno ucciso un uomo. Sono nelle catacombe. Mi stanno seguendo.»

Bene, se state pensando: "e ora? Cosa è successo? Come andrà a finire?" il mio scopo è stato raggiunto.

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