giovedì 1 dicembre 2016

Esercizi di scrittura.

    Siccome scrivere è anche e soprattutto esercizi ed esercitazioni, prove, appunti, false partenze e tutto quello che ne deriva, ho una certa quantità di quaderni e fogli volanti, a volte ritagli di giornale dove l'unica parte bianca è riempita dalla mia calligrafia confusa, frutto di un attimo che non poteva attendere e la necessità di imprimere nel persempre intuizioni e ispirazioni dall'animo volatile.
    Spesso quella necessità prende in momenti poco consoni e succede che mentre si sta guidando si abbia un flusso di pensieri così ben articolati che è un peccato lasciarli svanire come fumo e non riuscire più ad afferrarli quando saremo, magari ore dopo, comodamente seduti a casa con carta e penna alla mano. E così ci si ritrova ad accostare l'auto in un minuscolo spiazzo a lato della strada per infilare le mani nella borsetta alla disperata ricerca di quel quadernino che sappiamo essere lì, tra scontrini vecchi di mesi e moneta, giochi dei nostri figli e carte appiccicose di caramelle. E per qualche istante ci si concede di essere tutt'uno con il foglio bianco, ringraziando con un sorriso la minuscola matita dell'Ikea per avere ancora un qualche millimetro di punta, giusto giusto la misura che serve per annotare quei pensieri sparsi, ma che siamo certi ci torneranno utili in un secondo momento. Prima o poi.
    Poi ci sono i dialoghi dei personaggi, e quelli meritano un capitolo a parte. È interessante l'espressione di incredulità e finta noncuranza di chi ti ascolta raccontare ("Questa è fuori come un balcone!" immagino pensi). Sì perché scrivendo un romanzo si ha spesso l'impressione di non essere affatto soli nella propria mente; con la sensazione di essere guidati, quasi che qualcuno ci sussurrasse le parole da scrivere. Ebbene, con i personaggi è così, hanno spesso l'ardire di chiacchierare tra loro! A volte l'unico modo per farli stare tranquilli è trascriverne i dialoghi, così le loro voci si zittiscono e si può proseguire nella narrazione.
    Ma posso assicurare il lettore che questo "sentire le voci" non è un sintomo di follia, ma è cosa comune tra chi scrive. Mi raccontava un po' di tempo fa Jane Johnson, una scrittrice inglese, di quanto anche lei si senta vittima di questo affollamento mentale. "Non sono mai sola nel periodo di stesura di un romanzo," ha detto "è tutto un viavai di personaggi: parlano, vogliono fare cose, litigano tra loro!".

    La cosa divertente della scrittura è senz'altro seguire il flusso. Tenere testa all'apparizione mentale delle parole e riuscire a trascriverle prima che si mescolino con le successive, riuscire a non fermarsi ogni tre o quattro con l'impulso di correggere, cancellare, sostituire con sinonimi più adeguati al contesto, eccetera. Quello si può fare successivamente, c'è tempo per la revisione, e sprecare il magico momento del flusso d'ispirazione per rincorrere la correttezza grammaticale è un peccato.
    Era più o meno il 1995 quando Scrivere zen, un manuale di scrittura creativa di Natalie Goldberg, mi ha attirato a sé dallo scaffale della biblioteca. Un libro che ho amato sin dalle prime pagine e che è stato il mio primo vero incontro con la scrittura creativa. Scrivere come cura, come auto-aiuto, come fuga dalla quotidianità, come nido caldo nel quale rifugiarsi senza temere giudizi o invasioni nell'intimità dei propri pensieri. E da lì non ho mai veramente smesso.
   Uno dei tanti consigli della Goldberg è di prendere carta e penna e lanciarsi in brainstorming* selvaggi; accettare le parole che come fiumi in piena fluiscono portentose attraverso la punta della penna lasciando segni curvilinei sul bianco del foglio, accettarle sospendendo il giudizio, permettere loro di prendere forma senza costringerle all'interno dei margini stampati dei quaderni, senza badare alla grafia lasciare che corrano e riempiano liberamente ogni interstizio. Accettare che scavando in profondità, tirino fuori segreti o lati nascosti di noi stessi, prendere atto che quel qualcosa sono concetti reali, appartenuti al nostro intimo e che in quanto tali vanno rispettati.
    Ho fatto un numero imprecisato di esercizi di brainstorming e ancora ne conservo i fogli. Cose scritte rigorosamente a mano, perché resto dell'idea che il legame cervello-mano-penna sia la via più veloce di scrivere, almeno per la sottoscritta.

   Esistono svariati corsi di scrittura creativa e di scrittura in generale: on line, gratuiti, a pagamento, scuole e accademie, manuali e libri con esercizi. Ma l'ingrediente che più conta è la costanza, e se la scrittura è una passione, una necessità, non c'è bisogno di alcuna imposizione, la voglia di scrivere viene da sé, così affinare la tecnica diventa un lavoro estremamente piacevole.


*brainstorming è una parola inglese che indica "la formazione delle idee" che avviene nelle brevi riunioni tra collaboratori di una stessa azienda, una sorta di "liberazione della mente attraverso una tempesta cerebrale".

giovedì 27 ottobre 2016

Parole



Come uscite da grancasse,
rumorose e disordinate,
onde sonore che spettinano i passanti del mercato.
Parole come baci,
sfuggenti sussurri notturni,
apparentemente inascoltate, perdute nel buio,
indirizzate al proprio sé più profondo.
Parole oltraggiose,
come puntoni di cupole innalzate verso il cielo,
inseguitrici di impulsi momentanei,
prive di controllo.
Schegge dirette al cuore,
gridate con l'intento di ferire,
guidate da invidia o sofferenza.
Parole che sfuggono oltre i recinti della decenza,
pericolose strade senza ritorno.
Suggerite, sospettose,
gridate, scritte, declamate.
Armi a doppio taglio,
ma anche soffi di speranza,
affidate al vento come i semi del tarassaco
o le foglie d'autunno.

24.10.2016

domenica 2 ottobre 2016

Scrittrice stagionale!

  Dopo una lunga pausa estiva, nella quale ho dedicato il mio tempo ad altre attività lavorative (ah, quando la scrittura mi permetterà di pagare le bollette...), torno con impazienza ad occuparmi di cose molto più stimolanti e in attesa delle quali mi prudono letteralmente le mani. La mia amica Christine mi ha definita una "seasonal writer" ovvero una scrittrice stagionale, visto che il tempo da dedicare a questa attività/passione ce l'ho soltanto nei mesi autunno-invernali. E dunque eccomi qui con alcuni progetti e attività in calendario come un corso di scrittura creativa al quale mi sono iscritta presso la Scuola Carver e che già so, mi darà la possibilità di confrontarmi e scambiare idee, ricevere consigli e arricchirmi di esperienze positive.
  Ho poi in programma alcune serate di presentazione/lettura del mio romanzo Una Porta Sul Passato, la prima delle quali si svolgerà domenica 16 ottobre presso La Locanda degli Artistiuna piccola locanda a conduzione familiare che offre cibo autoprodotto, bio e locale e che ospita esibizioni musicali, letture di poesie, presentazioni di libri ed esposizioni di pittori.

Pizza in Fabula è la serata che vedrà protagonista il mio libro.


  Inutile dirlo, dopo la presentazione c'è la possibilità di trattenersi a cena alla locanda per gustare l'ottima pizza "degli artisti"!
  Per maggiori info sulla Locanda, le iniziative in calendario e in particolare sulla serata Pizza in Fabula, clicca qui.

La locanda degli artisti



Per raggiungere la Locanda:
Via Degli Artisti, 18 - Loc. Casanova 56030 Terricciola (Pisa)

venerdì 30 settembre 2016

Emma e le Parole Guardate.


A gennaio del 2016 ho partecipato all'iniziativa Parole Guardate, organizzata presso il comune in cui vivo, che prevedeva oltre ad un corso di teatro anche un percorso di scrittura creativa. Il corso si snodava attraverso lezioni teoriche e pratiche e l'elaborazione di un breve racconto basato sui personaggi che popolano i romanzi di Maurizio De Giovanni, famoso autore noir. A giugno si è svolta la manifestazione conclusiva con letture pubbliche dei racconti scritti da chi come me ha partecipato all'iniziativa e l'occasione di conoscere De Giovanni, intervenuto ad una delle due serate in programma. Inutile dire che tutti noi abbiamo cercato di carpire qualche segreto dalla sua esperienza di scrittore.
La mia scelta è caduta su La condanna del sangue: La primavera del Commissario Ricciardi, dal quale ho poi estrapolato il personaggio di Emma Serra di Arpaja. I romanzi di De Giovanni sono sempre ambientati nella sua Napoli; in quella odierna il filone de I Bastardi di Pizzofalcone e nel passato la saga che vede come protagonista il Commissario Ricciardi.
Emma, donna fragile e indecisa, vittima di se stessa e della passività nei confronti della propria esistenza. L'ho scelta perché mi ha colpita la sua storia e il suo non-luogo all'interno della narrazione. "Hai scelto un personaggio non facile", ha commentato De Giovanni, e se lo dice lui che le ha dato vita!
Ma bando alle ciance, ecco il breve racconto intitolato semplicemente Emma:

"Nessuno al quartiere Santa Lucia avrebbe più sentito parlare di Emma De Luca.
Avrebbero semplicemente detto che era sparita, scappata lasciando nel disonore una
famiglia che contava su quell’unica figlia come sola possibilità di redenzione attraverso un
matrimonio ben orchestrato. Un’unione che avrebbe riportato il nome dei De Luca
nell’olimpo della società napoletana. Perché era così che funzionava agli alti livelli e così
doveva essere anche per lei. Era questione di pochi mesi ormai e sarebbe diventata la
signora Serra Di Arpaja: sposata con Ruggiero, un uomo molto più grande di lei, uno
scapolo aristocratico, illustre giurista e professore universitario. Lo aveva incontrato per la
prima volta sei mesi prima, quando le era stato presentato come suo futuro marito. Suo
padre si era limitato a introdurla con un “Lei è Emma”, posandole una mano sui lombi e
sospingendola in avanti, come se stesse mettendo in mostra un oggetto in vendita di
fronte ad un cliente interessato. Ruggiero le aveva riservato uno sguardo appiccicoso e
indiscreto, con quegli occhi sovrastati da sopracciglia troppo folte. Le aveva sorriso
mostrando i denti ingialliti dal fumo, in un ghigno che le aveva fatto gelare il sangue.
Emma intravide un futuro dal quale desiderava solo fuggire. Come poteva sprecare i suoi
giorni con quell’uomo?
No! Aveva deciso che, per la prima volta nella sua vita, avrebbe fatto di testa propria; se
ne sarebbe andata, per opporsi a quell’obbligo, per riscattarsi da un destino che una
donna come lei aveva segnato sin dalla nascita. Normalmente l’inquietudine di Emma
restava circoscritta all’interno della propria mente, contratta come dentro una piccola
scatola sigillata, nascosta alla vista dei più. Solo chi aveva la premura di guardare bene in
fondo a quegli occhi, oltre il trucco e le apparenze, notava il velo di tristezza e frustrazione
che accompagnava la ragazza.
Una settimana prima, all’uscita del Teatro San Carlo, le era cresciuta dentro una
incontenibile voglia di rivelare alla sua migliore amica, Marisa Cacciottoli Di Roccamonfina,
quali fossero i suoi piani. Ma Ciro, che da lontano la stava controllando seguendone i
movimenti con attenzione, fissò il proprio sguardo nel suo, scuotendo la testa in maniera
impercettibile. Intimandole un “Non dire niente!”
La valigia era sotto il letto. Poche cose, le aveva detto Ciro, il resto se lo sarebbero
procurato una volta arrivati a destinazione.
Aveva salutato sua madre come ogni sera prima di ritirarsi nella propria stanza, ma
anziché infilarsi tra le raffinate lenzuola di seta, aveva atteso che il silenzio calasse sul
palazzo ed era uscita nell’oscurità lasciando che l’aria umida di quella notte priva di luna le
carezzasse il viso, insinuandosi fin sotto i vestiti e provocandole piccoli brividi di freddo,
oppure solo di paura. Aveva permesso alle ombre della notte di inghiottirla, raggiungendo
a passi svelti la viuzza dove trovò Ciro ad attenderla. Si abbracciarono e lui l’aiutò a issarsi
sulla bicicletta.
«Pronta?»
Emma annuì. Ciro iniziò a pedalare mentre lei stringeva forte al petto la piccola valigia.
La città giaceva svestita della sua vivacità, lungo la via nessun testimone o occhio curioso
a seguire i loro movimenti. Raggiunsero vicolo Storto e svoltarono a destra, fondendosi
con le ombre.
Arrivarono al quartiere di Fuorigrotta, dove un amico di Ciro li stava aspettando con un
piccolo furgone Fiat sul quale caricarono la bicicletta e i loro miseri bagagli. Raggiunta la
stazione ferroviaria di Caserta si affidarono al primo treno del mattino diretto a Roma. Ciro
diceva di avere delle conoscenze che gli avrebbero procurato una casa e un lavoro per
mantenersi.
Nel lento procedere del convoglio Emma sedeva pensierosa sullo scomodo sedile di
legno della terza classe. Era questo che l’aspettava? D’ora in poi si sarebbe mescolata
alla plebaglia? Uomini coperti di stracci che prendevano il treno per andare in città a
vendere la loro unica gallina o le rape cresciute nel loro orto. Misere esistenze, inutili ai
suoi occhi. E che lavoro avrebbe trovato Ciro? E lei? Non aveva mai lavorato; nonostante i
recenti debiti contratti dal padre per mantenere alte dignità e apparenze agli occhi della
società, la loro vita era trascorsa serena, attraversando persino la grande guerra senza
aver risentito della successiva crisi.
«A che pensi Emma?» Ciro la strappò a quell’intreccio di pensieri e domande prive di
risposta.
«Cosa faremo? Io non ho mai lavorato...»
Ciro le si fece vicino abbracciandola, posandole una mano sulla testa e carezzandole i
lunghi capelli neri. «Non devi preoccuparti Emma mia, a te d’ora in poi ci pensa Ciro.» La
attirò a sé facendole posare la testa sul petto. «Staremo benone, vedrai.»
Ma quelle rassicurazioni non bastarono a placare l’ansia che, ogni chilometro in
direzione della loro meta, montava prepotente nel petto di Emma.
La situazione alla quale andarono incontro si rivelò meno confortevole di come Ciro,
forse per ingenuità o forse per astuzia, aveva prospettato ad Emma. Largo Dino Frisullo, la
via del Mattatoio nel rione Testaccio, non era esattamente la centralissima via Condotti
che la ragazza si era aspettata. «È una sistemazione provvisoria», non faceva che ripetere
Ciro, «appena mi pagano ci sistemiamo in centro e ti faccio vivere da signora. “La signora
Emma Esposito”, ti piace il tuo nuovo nome?»
Il lavoro di muratore di Ciro non portava i soldi promessi e la topaia in fondo alla via
nella quale si erano rifugiati, era diventata la loro casa. Due mesi e ancora le ripeteva le
stesse parole. «Ci sistemiamo in centro, vedrai. Ho un amico che dice ci aiuta. Ti sposerò
entro quest’anno e mi farai tanti bambini. Devono avere i tuoi occhi e il tuo sorriso.»
Ma il sorriso di Emma aveva smesso di illuminarle il volto. Abbandonata a se stessa in
quei giorni sempre uguali, fatti di lunghe ore trascorse a piangere o a contare il poco
denaro nascosto sotto il materasso, vedeva i ricordi della sua vita a Napoli perdersi in
lontananza. Si ritrovava a sussurrare preghiere tra le navate della chiesa di Santa Maria
Liberatrice o a vagare senza meta, tra i sentieri del cimitero degli artisti e dei poeti,
cercando invano di decifrare le iscrizioni sulle lapidi.
Ciro tornava sempre più spesso coi vestiti inzuppati di risse e alcool, gridava rabbioso e
allungava le mani su di lei. «E trovati un lavoro, pensi che ti manterrò per sempre? Credevi
di venire a fare la bella vita eh?!» Il vino lo trasformava in un’altra persona: era
incontrollabile, violento e spaventoso. Mutava poi, per tornare il Ciro affettuoso e
premuroso, quando l’ebbrezza si dissolveva e le ombre della notte lasciavano il passo al
sorgere di un nuovo giorno.
«Mi hai fatto delle promesse, avevi detto che ti saresti preso cura di me, che avremmo
trovato una casa e un lavoro dignitoso. Avevi promesso...» gli gridò addosso una mattina,
scoppiando in singhiozzi incontrollabili che la facevano sussultare in preda ad un tremore
convulso. «Non ne posso più di questa vita grama. Dove mi hai trascinata? Chi sei che
torni ogni sera ubriaco e preferisci fare a botte invece della mia compagnia?»
Quello sfogo improvviso sorprese Ciro. Vedeva Emma triste e chiusa in se stessa, ma
pensava fosse solo nostalgia di casa, della madre o delle uscite settimanali con l’amica
Marisa.
«Non fare così...» le si avvicinò posandole una mano sulla guancia nel tentativo di darle
conforto. Ma lei si scostò bruscamente lasciandolo con la mano a mezz’aria.
«Cosa credi? Che io sia felice di sgobbare ogni giorno sotto il sole ad ammucchiare
mattoni, a tirar su case eleganti e poi tornare in questo schifo? Credi che sia felice? Eh?
Guarda che lo faccio per noi, per il nostro futuro, per i bambini che faremo insieme. Perché
io voglio tanti bambini da te Emma, questo lo sai, vero? E ti sposerò e vivremo in una bella
casa, in centro...»
Emma smise di ascoltare, si voltò e pianse. Cosa le restava ora? Promesse e povertà.
Umiliazione e solitudine.
Appena Ciro fu uscito quella mattina, Emma De Luca prese il borsellino da sotto il
materasso e con i pochi soldi che conteneva si diresse a passo svelto verso la stazione
Ostiense. Sapeva a cosa stava correndo incontro: ci sarebbero state le braccia avvolgenti
di sua madre che l’avrebbe accolta con gioia e sollievo; uno schiaffo da suo padre perché,
anche se sotto sotto aveva un cuore, il suo ruolo di genitore gli imponeva di essere severo
e non fargliela passare liscia; e poi quell’uomo che non avrebbe mai amato e un
matrimonio “di comodo” che avrebbe aggiustato le sorti della famiglia. Una prigione dorata
forse, ma pur sempre la cosa più simile ad una casa che poteva permettersi. Una casa
dove le lenzuola erano di seta."

Tutti i diritti riservati. Vietata la copia anche parziale.

venerdì 13 maggio 2016

Nuove recensioni

      Grazie alle lettrici che trovano uno spicchio del loro tempo da dedicare ad una recensione dopo aver letto Una porta sul passato, l'ultima apparsa su Amazon, e che condivido qui, è stata scritta da Lisa Aprile.


4.0 su 5 stelle Caldamente consigliato, 1 maggio 2016

Questa recensione è su: Una Porta sul Passato (Formato Kindle)
Romanzo che si legge tutto d'un fiato; scorrevole e ben strutturato.
Perfetto per gli appassionati del genere, colmo di avventure e storie d'amore che si intrecciano e sciolgono a mano a mano che la protagonista viene a conoscenza del suo passato. Sono presenti anche molti elementi apparentemente magici, attribuibili al destino che guida Simone nel corso del romanzo.
 
      Ricordo a lettori e lettrici che ogni recensione è preziosa e indispensabile per permettere ad autori indipendenti di diffondere le proprie opere.
  

mercoledì 11 maggio 2016

Presentazione/Vernissage 22 maggio 2016


   
   Domenica 22 maggio 2016 alle 17.30, presso la galleria d'arte Art Gallery in Tuscany 2 a Montaione (FI) sarò presente ad un vernissage organizzato dall'amica Cora, proprietaria della galleria. Nel corso della presentazione della mostra "Simòne e le altre donne" dell'artista Giacomo Tinacci, ci sarà spazio per conoscere meglio gli aspetti della protagonista di Una porta sul passato che hanno ispirato all'artista il ritratto di Simòne, lo stesso che appare nella locandina della serata.
    
    Vi aspetto numerosi!

giovedì 11 febbraio 2016

PROMOZIONE DI SAN VALENTINO: Una porta sul passato

   Anche quest'anno San Valentino si avvicina a grandi passi, quale miglior periodo dell'anno per leggere una storia avventurosa e anche romantica? Ebbene Una porta sul passato racchiude sia un pizzico di avventura che l'amore, dunque perché non approfittare di questa promozione? Ebook a soli 1,21€ fino a domenica 14 compresa!

   Un amore improvviso, destinato a lasciare segni indelebili, non importa quale decisione Simòne avrebbe preso. In una o nell'altra direzione, quell'incontro l'avrebbe cambiata per sempre...

"Quando i suoi occhi di un marrone scuro, intenso e profondo, incontrarono quelli di Simòne, lei restò colpita dall’aspetto di quell’uomo dai lineamenti perfetti del suo viso abbronzato e i capelli neri come la notte. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Sembrava ipnotizzata da tanto fascino; una bellezza che sfuggiva ad ogni possibile definizione. La vista abbagliante di quell’uomo le rimescolò i pensieri, creando un momentaneo vuoto mentale che le impedì di ricordarsi del perché si trovasse lì e di cosa stesse cercando."


   Non puoi mai sapere dove incontrerai l'amore della tua vita: su un autobus, dietro l'angolo in una strada che percorri ogni giorno, al supermercato o tra le sabbie di un deserto. Ma quando accadrà, lo riconoscerai, di questo puoi starne certa.






Buona festa a tutti gli innamorati! 

mercoledì 3 febbraio 2016

Di dove sei?

   "Di dove sei?"
   Quante volte ci viene posta questa domanda. Sembra facile rispondere, ma io lo trovo ambiguo come quesito. E la risposta non è scontata come sembra.

   E' il luogo in cui siamo nati ciò che fa di noi un italiano o un inglese, un pugliese anziché un friulano? Oppure è il luogo in cui abitiamo che ci dà un'identità regionale o nazionale? O ancora, l'origine dei nostri genitori influisce?
   Ed io che sono nata in un paesino del Trentino e poi mi sono trasferita in un altro paesino della Toscana, da dove vengo? Di dove sono? Sono trentina solo perché ci sono nata o sono toscana perché ormai da più di dieci anni vivo qui?
   Forse una volta che ci si trasferisce dal luogo in cui si è nati si perde il legame con la terra d'origine, si perdono per strada amici (non tutti per fortuna) e conoscenti, si perde di vista la quotidianità di quel luogo e una volta che ci si ritorna si stenta quasi a riconoscerlo, lo si trova diverso, cambiato. Ma probabilmente siamo noi ad essere cambiati, perché vivere altrove ci muta, nell'anima; è impossibile tornare indietro ed essere gli stessi di quando si è partiti. Così, riflettendo, mi chiedo quale luogo considero casa: il paese in cui sono venuta al mondo e nel quale torno volentieri a far visita a parenti e amici, o il luogo nel quale ho deciso di vivere, dove si svolge la mia quotidianità, dove ho gettato le basi per costruire la mia famiglia? Ecco, forse mi sono data da sola la risposta: il luogo che sento essere la mia casa e al quale appartengo, sicuramente è là, dove sta la mia famiglia.
   Qualcuno sostiene che siamo entità vagabonde, che viaggiando e spostandosi in diversi luoghi perdiamo quella radicata identità che invece mantiene chi resta là dove è nato e cresciuto. Allo stesso modo chi per lavoro o piacere viaggia spesso, ha meno legami continuativi con una "patria" e più possibilità di appartenere ed essere tanti luoghi diversi al tempo stesso. Ciò rappresenta sicuramente una ricchezza, un'opportunità di sentirsi parte del mondo intero.

  Mi scappa un sorriso, perché, a seconda di come mi viene posta la domanda, mi rispondo che in fondo io mi sento più che altro cittadina del mondo, parte dell'umanità. Dopotutto i confini sono un'invenzione umana, siamo noi che abbiamo deciso di mettere dei paletti, dei limiti che spesso sono invalicabili, oltre i quali puoi muoverti solo se possiedi un passaporto o un visto del governo di quella nazione... Esiste un passato, perso nella notte dei tempi, nel quale gli uomini si potevano spostare praticamente ovunque, gli unici limiti erano rappresentati da mari o fiumi particolarmente difficili da guadare, nemmeno le più alte montagne hanno mai impedito l'esplorazione in lungo e in largo del globo terracqueo che ci ospita. Dunque cosa ci ha spinti a chiuderci dietro frontiere,  fili spinati e muri? Al di là del significato politico di "patria", la paura, è stata la forza motrice che ha spinto i popoli a trincerarsi dietro le barriere dei confini per impedire invasioni e colonizzazioni. Un timore che sembra sopravvivere ancora oggi, che un popolo sconosciuto possa portarci via la terra su cui abitiamo, rubarne l'identità, la lingua e le tradizioni.
Ho sempre pensato che essere troppo patriottici fosse rischioso, che equivalesse in qualche misura ad essere razzisti. Perché considerare il proprio luogo di nascita migliore di altri, speciale, da salvaguardare anche a costo di ricorrere all'uso di armi, è quantomeno eccessivo. Forse se ognuno di noi avesse la possibilità di viaggiare, sin dall'infanzia, scoprire luoghi lontani, tradizioni e strutture sociali diverse dalle nostre, crescerebbe in noi una maggiore consapevolezza di quanto speciale sia il fatto di appartenere alla razza umana e, cosa più importante, nascerebbe in noi uno spontaneo e sano rispetto nei confronti degli altri, da qualsiasi luogo essi provengano. Tanto sarebbe comunque un luogo di questo pianeta!

Bene, di dove sono?
Posso solo dire che il caso (se esiste) ha voluto che nascessi in Italia, ma che in linea generale sento di essere un'abitante del pianeta Terra, cittadina di questo mondo.

sabato 9 gennaio 2016

Una porta sul passato disponibile su Lulu.com



Una porta sul passato è ora disponibile anche sul sito Lulu.com in versione digitale ePub e cartacea. Per coloro che non possiedono un'applicazione o un dispositivo di lettura targato Amazon, ora non è più necessario convertire il formato dell'ebook ma è sufficiente scaricarlo direttamente in formato ePub.
E... non dimenticate di lasciare una recensione, ogni commento è gradito!

Buona lettura!
Sara T. H.

Una Porta Sul Passato
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