domenica 28 maggio 2017

Racconto finale del laboratorio di scrittura creativa "Parole guardate" 2017

      Anche quest'anno il laboratorio di scrittura creativa e teatro "Parole guardate" svoltosi a Peccioli, è giunto a conclusione. Il tema di questo secondo laboratorio era il giallo. Abbiamo dapprima lavorato sul giallo classico, scoperto quali sono le regole che caratterizzano questo tipo di narrazione e imparato a elaborare una trama che ne tenesse conto. Successivamente abbiamo scritto dei racconti prendendo spunto dai libri dello scrittore Romano De Marco che ci ha accompagnato per tre incontri. Come l'anno scorso a fine laboratorio si è svolta una festa nel corso della quale c'è stata la lettura dei racconti prodotti dai partecipanti.
Di seguito il mio elaborato intitolato Alibi.
Buona lettura.

Erica si rigirava nella semioscurità. I polsi le dolevano, le caviglie chiuse in nodi stretti non le permettevano di alzarsi. Poteva solo rotolare.
Non conosceva la voce che la sera prima le aveva intimato di non gridare e di fare la brava: sembrava che l’uomo indossasse un bavaglio o avesse in bocca qualcosa per modificare l’intonazione. Non era in grado di capire quanti anni potesse avere o sapere se stesse parlando sul serio quando diceva che non le avrebbe torto un capello. Cosa stava aspettando e chi era il complice con cui parlava sottovoce al di là della porta?
Quando l’avevano colta di sorpresa, appena fuori dal parco che, per un breve tratto, costeggiava il percorso da casa all’ospedale, non aveva avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo. Un sacchetto di tela le era sceso sul capo e una mano rapida aveva soffocato le sue grida. Poi era stato tutto uno sballottamento e una corsa concitata, condita con sussurri incomprensibili, terminata forse sul pianale di un furgone dove le erano stati legati mani e piedi e un bavaglio aveva preso il posto della mano sulla bocca. Il resto era un ricordo nebuloso, fatto di suoni confusi e freddo misto a paura.
  I rumori del traffico oltrepassavano la barriera dell’unica finestra, chiusa e coperta da una tenda scura e pesante, poteva trovarsi vicino ad una strada di grande comunicazione, magari in uno di quegli hotel appena fuori città che ospitavano uomini d’affari sempre in viaggio o incontri che duravano appena qualche ora.
Un bip anticipò l’apertura della porta. Il buio non venne rischiarato come lei si sarebbe aspettata e un’ombra si avvicinò silenziosa sulla moquette. Poi fu il nulla.


Maurizio sistemò il bavero della giacca e si passò la mano nervosa tra i capelli. Aprì la porta lasciando entrare la luce solare che lo colpì con prepotenza facendogli socchiudere gli occhi. Uscì unendosi al resto del mondo che si avviava ad iniziare un’altra giornata.
Fuori, nell’aria tiepida profumata di salsedine, si permise di respirare, consentendo al cuore di tornare ad un ritmo più normale. Sarebbe andato tutto bene.
La giornata lavorativa gli permise di distrarsi, cercò di limitare i propri pensieri all’azienda che aveva ereditato dal padre e dirigeva con successo. La Curti Design era una delle più famose e redditizie aziende di arredamento di lusso del paese. Ma la mente trovava appigli in ogni dove, piccoli particolari o gesti che lo riportavano alla notte trascorsa fuori, facendo riaffiorare un certo timore sotterraneo.
A fine pomeriggio, poco prima che la riunione fosse terminata, la segretaria gli passò una chiamata da parte di una collega di sua moglie.
«Dottor Curti?»
«Sì, con chi parlo?»
«Salve, sono Luisa, una collega di Erica. È da ieri sera che cerchiamo di metterci in contatto con sua moglie ma non risponde né al cellulare né a casa. Volevo assicurarmi che stesse bene.»
«Ma… lei era di turno stanotte. Dovrebbe essere rientrata a casa stamattina alle nove…»
«In ospedale non si è fatta vedere. Avevamo il turno insieme. È strano perché di solito quando non viene al lavoro sono la prima a saperlo.»
Maurizio avvertì un velo di sudore coprirgli la fronte e un leggero tremore impossessarsi della sua voce.
«Io non la sento da ieri pomeriggio» Allentò in nodo della cravatta. «Sono stato molto impegnato.» Non poteva confessare di aver trascorso la notte fuori.
«Potrebbe accertarsi che non si sia sentita male e poi richiamare a questo numero? Grazie. Parlerò io al primario.»
«Certo.» Maurizio non attese che la donna lo salutasse e sospese la chiamata.
Il panico lo avvolse come le spire di un essere strisciante: gli era quasi impossibile respirare. Chiuse le ultime pratiche e spense il computer. Rivolse un frettoloso saluto alla segretaria la quale gli ricordò che l’appuntamento delle otto e trenta del giorno successivo era stato anticipato e che l’autista sarebbe passato mezz’ora prima rispetto ai programmi.
Una volta seduto sui sedili in pelle della sua auto chiamò un numero che non aveva intenzione di registrare nella rubrica, lo stesso del quale cancellava le tracce dopo ogni chiamata o messaggio. L’altra persona rispose dopo pochi squilli.
«Ciao! Non siamo rimasti d’accordo di vederci domani sera?»
«Sì, be’… Meglio se non ci vediamo per un po’,» disse a bassa voce. Non era sicuro di poter fare affidamento sulla discrezione del nuovo autista, «poi ti spiego. Mi faccio sentire io.»
L’inquietudine ormai gli scorreva al posto del sangue, riusciva solo a pensare a titoli di giornale che denunciavano uno scandalo ai suoi danni e a come questo avrebbe compromesso la campagna elettorale. La vergogna che sarebbe calata su di lui, a poche settimane dal voto, gli avrebbe fatto perdere popolarità. Il suo avvocato, pur essendo un amico fidato, non sarebbe stato in grado di limitare i danni.
Le gocce di sudore che si stavano formando all’altezza delle tempie, iniziarono a scendere perdendosi tra la barba.


Lascio cadere il telefono sulla poltroncina, tornando a concentrarmi sul listino dei trattamenti offerti dal centro estetico. Ma il flusso di pensieri che cerco invano di fermare, torna a scorrere.
Sono trascorsi tre lunghi anni e, nonostante le mie richieste, lui non ha lasciato la moglie. Sono vissuta di promesse e attese, all’ombra di un’altra donna, ma ora basta, o lei o me. Non c’è posto per entrambe nella vita di Maurizio Curti. Io devo essergli accanto il giorno dell’elezione o nelle foto ufficiali che mostrano il successo e il potere che negli anni si è guadagnato.
Erica Sarti, sarà pure la moglie ufficiale di Maurizio, ma è una sempliciotta, una che invece di godersi la vita con l’uomo di successo che ha sposato, viaggiando e facendo strisciare la carta di credito nei negozi più esclusivi, neanche ha lasciato il lavoro di infermiera alla clinica privata. «La moglie di un industriale che fa l’infermiera! Ma su, è un’assurdità.» «Ma sai, ama fare del bene, è la sua vocazione» mi ripeteva Maurizio per giustificare il comportamento anomalo di Erica. Ed è proprio quel buonismo melenso ciò che lo ha trattenuto dal chiedere il divorzio. Perché: «Poverina, non se lo merita.» Ma io sono stanca di sentire queste giustificazioni.
Quando Maurizio si è candidato a sindaco di Roma, Erica non era nemmeno presente tra le centinaia di sostenitori che applaudivano con entusiasmo appoggiando la campagna elettorale. Io, al contrario, gli sarei stata sempre accanto. Non avrei perso nessuna occasione per apparire elegante e raffinata: l’affascinante first lady al fianco dell’uomo che l’ha resa orgogliosa e ricca.
Dopotutto, Erica se l’è cercata. Avrebbe dovuto lasciarlo libero se non voleva vivere la vita che lui le ha offerto. Non lo merita.
Ma io non mi faccio fregare: Linda Battistini è stufa di stare in disparte.
Il mio telefono squilla di nuovo. Sul display appare il numero che stavo aspettavo.
«Ciao Claudio. Il  nostro amico ha finito il lavoro?» chiedo.
«Tutto sistemato» risponde.
«Bene.»
«Ci vediamo domani mattina alla stazione.»
«Sì, certo… Ora scusami, ma sono molto occupata.» Appoggio il telefono, sorridendo compiaciuta all’estetista che si sta prendendo cura delle mie unghie. Il futuro che ho pianificato è lì ad attendermi: niente più ostacoli, niente più rischi.
Siamo finalmente liberi.


Tutti i diritti riservati. Vietata la copia anche parziale.

venerdì 19 maggio 2017

Esercizi di stile: Sono partita.

Cari tutti,
sì lo so cosa state pensando: “Eccola lì, pure da morta ci rompe con questa fissa per la scrittura!” Ma abbiate pazienza, sono le ultime righe e poi non vi ammorberò più chiedendovi di leggere cose scritte da me. Niente opere postume. Promesso.

Vi scrivo perché, come avrete notato, il mio vecchio corpo era ormai troppo stanco di portarmi a spasso e gli ho concesso la meritata pensione. Ho avuto una vita piena, ricca di persone, incontri, esperienze, arrivi e partenze, ho visto crescere i miei figli e diventare adulti di cui sono orgogliosa, ho avuto il piacere di diventare nonna, di poter leggere le mie fiabe ai nipoti e sono persino riuscita a conoscere due dei loro figli. Ho scritto e fatto tanto in questa vita. Sono stata molte cose: donna, madre, moglie felice, scrittrice, un ponte tra due culture, un orecchio al quale sfogarsi, un approdo a cui tornare.
Ma ora per favore, levatevi dal viso quell'espressione da funerale. Se il vecchio Lavoiser, che la sapeva lunga, aveva ragione nell'affermare che “nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma” non dovremmo essere spaventati da qualcosa che di fatto non esiste, poiché è un’illusione creata dalla limitatezza dei nostri sguardi. Se questo principio vale per l’energia di cui ogni cosa è formata, deve valere anche per l’anima. Quindi festeggiate, auguratemi buon viaggio, perché sono partita. Non auguratemi di riposare in pace perché quello lo farà solo il mio corpo che, se avete seguito le mie ultime volontà, per la legge di cui sopra avrà già iniziato a trasformarsi in humus e a fertilizzare le camelie e le rose in fondo al giardino. E mi piacerebbe che guardando quei fiori riusciste a sentirmi ridere e vi possiate ricordare che non sono finita in qualche buio oblio di umana invenzione, ma che sono accanto a voi e sto anch'io godendo del profumo e dei colori di quei petali.
Mi spiace che molti di voi temano la morte e che non riescano ad accettare che si tratta solo di un passaggio da un’esistenza alla successiva, una porta e niente più.
Mi pare di sentirvi borbottare: “Eccola con le sue solite idee anticonformiste” brontolerà Luca; “A proposito, chi li prende i suoi libri sulla reincarnazione, i Veda e le tradizioni sciamaniche? A me non interessano” dirà Claudia, “A me i suoi budini vegani e quegli improbabili esperimenti culinari non mancheranno per niente!” riderà Ilaria.
Ecco, così vi vorrei: vivi, perché anche se io non vi starò più intorno voi siete ancora vivi e in quanto tali vivete e ridete e allontanate la tristezza della mia assenza. Rideteci su, ho solo iniziato un nuovo giro di giostra e potete immaginare la fatica nel dover ricominciare tutto da capo, tutta quella faccenda dei pannolini e i dentini e le pappine e gli annessi e connessi…

Ridete pure, tanto prima o poi capiterà anche a voi!

Vi abbraccio
S.




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