Anche quest'anno il laboratorio di scrittura creativa e teatro "Parole guardate" svoltosi a Peccioli, è giunto a conclusione. Il tema di questo secondo laboratorio era il giallo. Abbiamo dapprima lavorato sul giallo classico, scoperto quali sono le regole che caratterizzano questo tipo di narrazione e imparato a elaborare una trama che ne tenesse conto. Successivamente abbiamo scritto dei racconti prendendo spunto dai libri dello scrittore Romano De Marco che ci ha accompagnato per tre incontri. Come l'anno scorso a fine laboratorio si è svolta una festa nel corso della quale c'è stata la lettura dei racconti prodotti dai partecipanti.
Di seguito il mio elaborato intitolato Alibi.
Buona lettura.
Erica
si rigirava nella semioscurità. I polsi le dolevano, le caviglie chiuse in nodi
stretti non le permettevano di alzarsi. Poteva solo rotolare.
Non
conosceva la voce che la sera prima le aveva intimato di non gridare e di fare
la brava: sembrava che l’uomo indossasse un bavaglio o avesse in bocca qualcosa
per modificare l’intonazione. Non era in grado di capire quanti anni potesse
avere o sapere se stesse parlando sul serio quando diceva che non le avrebbe
torto un capello. Cosa stava aspettando e chi era il complice con cui parlava
sottovoce al di là della porta?
Quando
l’avevano colta di sorpresa, appena fuori dal parco che, per un breve tratto, costeggiava
il percorso da casa all’ospedale, non aveva avuto il tempo di capire cosa
stesse succedendo. Un sacchetto di tela le era sceso sul capo e una mano rapida
aveva soffocato le sue grida. Poi era stato tutto uno sballottamento e una
corsa concitata, condita con sussurri incomprensibili, terminata forse sul
pianale di un furgone dove le erano stati legati mani e piedi e un bavaglio
aveva preso il posto della mano sulla bocca. Il resto era un ricordo nebuloso, fatto
di suoni confusi e freddo misto a paura.
I rumori del traffico oltrepassavano la
barriera dell’unica finestra, chiusa e coperta da una tenda scura e pesante,
poteva trovarsi vicino ad una strada di grande comunicazione, magari in uno di
quegli hotel appena fuori città che ospitavano uomini d’affari sempre in
viaggio o incontri che duravano appena qualche ora.
Un
bip anticipò l’apertura della porta. Il buio non venne rischiarato come lei si
sarebbe aspettata e un’ombra si avvicinò silenziosa sulla moquette. Poi fu il
nulla.
Maurizio sistemò il bavero della
giacca e si passò la mano nervosa tra i capelli. Aprì la porta lasciando
entrare la luce solare che lo colpì con prepotenza facendogli socchiudere gli
occhi. Uscì unendosi al resto del mondo che si avviava ad iniziare un’altra
giornata.
Fuori, nell’aria tiepida profumata di
salsedine, si permise di respirare, consentendo al cuore di tornare ad un ritmo
più normale. Sarebbe andato tutto bene.
La
giornata lavorativa gli permise di distrarsi, cercò di limitare i propri pensieri
all’azienda che aveva ereditato dal padre e dirigeva con successo. La Curti
Design era una delle più famose e redditizie aziende di arredamento di lusso
del paese. Ma la mente trovava appigli in ogni dove, piccoli particolari o
gesti che lo riportavano alla notte trascorsa fuori, facendo riaffiorare un
certo timore sotterraneo.
A fine
pomeriggio, poco prima che la riunione fosse terminata, la segretaria gli passò
una chiamata da parte di una collega di sua moglie.
«Dottor
Curti?»
«Sì,
con chi parlo?»
«Salve,
sono Luisa, una collega di Erica. È da ieri sera che cerchiamo di metterci in
contatto con sua moglie ma non risponde né al cellulare né a casa. Volevo
assicurarmi che stesse bene.»
«Ma…
lei era di turno stanotte. Dovrebbe essere rientrata a casa stamattina alle nove…»
«In
ospedale non si è fatta vedere. Avevamo il turno insieme. È strano perché di
solito quando non viene al lavoro sono la prima a saperlo.»
Maurizio
avvertì un velo di sudore coprirgli la fronte e un leggero tremore impossessarsi
della sua voce.
«Io
non la sento da ieri pomeriggio» Allentò in nodo della cravatta. «Sono stato
molto impegnato.» Non poteva confessare di aver trascorso la notte fuori.
«Potrebbe
accertarsi che non si sia sentita male e poi richiamare a questo numero?
Grazie. Parlerò io al primario.»
«Certo.»
Maurizio non attese che la donna lo salutasse e sospese la chiamata.
Il
panico lo avvolse come le spire di un essere strisciante: gli era quasi
impossibile respirare. Chiuse le ultime pratiche e spense il computer. Rivolse
un frettoloso saluto alla segretaria la quale gli ricordò che l’appuntamento delle
otto e trenta del giorno successivo era stato anticipato e che l’autista
sarebbe passato mezz’ora prima rispetto ai programmi.
Una
volta seduto sui sedili in pelle della sua auto chiamò un numero che non aveva
intenzione di registrare nella rubrica, lo stesso del quale cancellava le tracce
dopo ogni chiamata o messaggio. L’altra persona rispose dopo pochi squilli.
«Ciao!
Non siamo rimasti d’accordo di vederci domani sera?»
«Sì,
be’… Meglio se non ci vediamo per un po’,» disse a bassa voce. Non era sicuro
di poter fare affidamento sulla discrezione del nuovo autista, «poi ti spiego.
Mi faccio sentire io.»
L’inquietudine
ormai gli scorreva al posto del sangue, riusciva solo a pensare a titoli di giornale
che denunciavano uno scandalo ai suoi danni e a come questo avrebbe compromesso
la campagna elettorale. La vergogna che sarebbe calata su di lui, a poche
settimane dal voto, gli avrebbe fatto perdere popolarità. Il suo avvocato, pur
essendo un amico fidato, non sarebbe stato in grado di limitare i danni.
Le
gocce di sudore che si stavano formando all’altezza delle tempie, iniziarono a
scendere perdendosi tra la barba.
Lascio
cadere il telefono sulla poltroncina, tornando a concentrarmi sul listino dei trattamenti
offerti dal centro estetico. Ma il
flusso di pensieri che cerco invano di fermare, torna a scorrere.
Sono
trascorsi tre lunghi anni e, nonostante le mie richieste, lui non ha lasciato
la moglie. Sono vissuta di promesse e attese, all’ombra di un’altra donna, ma
ora basta, o lei o me. Non c’è posto per entrambe nella vita di Maurizio Curti.
Io devo essergli accanto il giorno dell’elezione o nelle foto ufficiali che
mostrano il successo e il potere che negli anni si è guadagnato.
Erica
Sarti, sarà pure la moglie ufficiale di Maurizio, ma è una sempliciotta, una
che invece di godersi la vita con l’uomo di successo che ha sposato, viaggiando
e facendo strisciare la carta di credito nei negozi più esclusivi, neanche ha
lasciato il lavoro di infermiera alla clinica privata. «La moglie di un
industriale che fa l’infermiera! Ma su, è un’assurdità.» «Ma sai, ama fare del
bene, è la sua vocazione» mi ripeteva Maurizio per giustificare il
comportamento anomalo di Erica. Ed è proprio quel buonismo melenso ciò che lo
ha trattenuto dal chiedere il divorzio. Perché: «Poverina, non se lo merita.»
Ma io sono stanca di sentire queste giustificazioni.
Quando
Maurizio si è candidato a sindaco di Roma, Erica non era nemmeno presente tra
le centinaia di sostenitori che applaudivano con entusiasmo appoggiando la
campagna elettorale. Io, al contrario, gli sarei stata sempre accanto. Non
avrei perso nessuna occasione per apparire elegante e raffinata: l’affascinante
first lady al fianco dell’uomo che l’ha resa orgogliosa e ricca.
Dopotutto,
Erica se l’è cercata. Avrebbe dovuto lasciarlo libero se non voleva vivere la
vita che lui le ha offerto. Non lo merita.
Ma
io non mi faccio fregare: Linda Battistini è stufa di stare in disparte.
Il
mio telefono squilla di nuovo. Sul display appare il numero che stavo
aspettavo.
«Ciao
Claudio. Il nostro amico ha finito il
lavoro?» chiedo.
«Tutto
sistemato» risponde.
«Bene.»
«Ci
vediamo domani mattina alla stazione.»
«Sì,
certo… Ora scusami, ma sono molto occupata.» Appoggio il telefono, sorridendo
compiaciuta all’estetista che si sta prendendo cura delle mie unghie. Il futuro
che ho pianificato è lì ad attendermi: niente più ostacoli, niente più rischi.
Siamo
finalmente liberi.
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