mercoledì 19 dicembre 2018

Il cambiamento: spauracchio o necessità.

Una delle cose che più temiamo in quanto esseri umani è il cambiamento.
Cambiare spaventa, non c'è storia. Ognuno di noi prova almeno un po' di ansia in vista di un trasloco, di un cambio di lavoro, di un imprevisto che rimescola le carte in tavola e ci costringe a modificare i nostri piani o ad annullarle ciò che ci eravamo prefissati.
Cambiare: verbo che implica una modifica di stato, una trasformazione, una sostituzione, l'assumere un aspetto diverso.
Il cambiamento fa parte della vita stessa, nulla resta immutato nel tempo, nel mondo naturale tutto è soggetto a cambiamento di stato, il concetto stesso di evoluzione implica che sia in atto una qualche mutazione in funzione del raggiungimento di nuovi risultati, nuove forme, miglioramenti e obiettivi.
Opporsi al cambiamento perché se ne ha timore è comune nei tempi moderni, ma non è certo una malattia di recente acquisizione: infatti la saggezza popolare ci insegna che "lasciando la strada vecchia per la nuova si sa cosa si lascia ma non cosa si trova" ed ecco con poche parole instillato il timore del nuovo e del diverso. Nuovo e diverso che possono presentarsi in svariate forme e situazioni, e così appare più semplice restare fermi nel territorio che ben si conosce e che nonostante ci crei dolore e disagio, malesseri più o meno seri, è comunque una dimensione con la quale abbiamo dimestichezza e in cui sappiamo come muoverci. Senza contare che abbandonare quello spazio significa rischiare di imbattersi in una situazione peggiore, chi ci garantisce infatti che sacrificando tutto ciò che di conosciuto abbiamo non ci capiti di regredire anziché migliorare la nostra situazione?
Eppure, opporsi al cambiamento è, nella quasi totalità dei casi, controproducente.
Perché anche se stare immersi nella melma fino al collo ci impedisce ogni movimento, amiamo ripeterci che in fondo lì siamo al sicuro, che conosciamo quella melma, la sua composizione microbiologica, la massa, il peso e come si comporta a contatto con il nostro corpo, ci sentiamo parte di quella sostanza e ci crediamo a tal punto che ci sembra persino normale trovarci lì in mezzo.
Ma quando saranno trascorsi mesi, e i mesi saranno diventati anni, cosa avremo ottenuto costringendoci in quella melma? Volteremo la testa e ci renderemo conto che nel frattempo molti si sono spostati, ad un certo punto hanno deciso di uscire dalla vischiosa sicurezza che li aveva custoditi, hanno faticato, sofferto, perso certezze, fallito in certi ambiti, ma affrontando l'ignoto, quel salto oltre il muro, hanno deciso e accettato di cambiare, modificare il punto di vista, alzare lo sguardo e vedere che oltre c'era di più, guadagnando una libertà di movimento fino a quel momento impossibile.
Uscire dalla propria zona di comfort significa camminare per strade nuove, poter intraprendere percorsi sconosciuti, magari impervi, disseminati di rischi, strade lungo le quali è possibile fare incontri poco raccomandabili, inciampare e cadere, farsi male, piangere e soffrire. Ma oltre agli aspetti meno piacevoli del cambiare, quanto di buono può essere lì ad attenderci? E quanto di questo ci precludiamo restando barricati al calduccio nella nostra zona di comfort? Non possiamo sapere in cosa ci imbatteremo se decidiamo di abbracciare il cambiamento, non ci è permesso conoscere il futuro, e anche questo fa parte del grande gioco che è la vita, va accettato e affrontato.

Partendo dal presupposto che ognuno di noi è al mondo con uno scopo, una missione personale, più o meno evidente ai nostri occhi miopi e limitati di esseri umani, diviene facile capire che ogni strada intrapresa porterà non solo aria nuova alla nostra esistenza, ma anche opportunità e incontri che nel disegno dell'universo hanno una loro logica. Quante volte ci capita di riflettere su degli incontri fortuiti o su certe scelte magari fatte in maniera affrettata, che ci hanno condotto in direzioni mai prese in considerazione fino a poco prima? Perché in quanto individui siamo immersi in una moltitudine di legami e connessioni interpersonali che come tanti fili invisibili ci tirano di qua e di là come marionette spesso del tutto inconsapevoli.
Accettiamo di sederci da un lato e osservare il quadro a una ragionevole distanza, guardarlo nella sua interezza, cambiare prospettiva e punto di vista aiuta a non sentirsi radicati, ad assecondare quella innata necessità al cambiamento.
Di recente ho notato un aumento di consapevolezza nelle persone, sempre più introspezione, quel fermarsi a chiedersi dove si è diretti e perché, cosa o chi ci ha imposto o influenzato nelle scelte che condizionano ogni giorno la nostra esistenza. Come stiamo "usando" il nostro tempo, come lo investiamo, lo perdiamo, lo sfruttiamo. Cosa vogliamo dal futuro e da noi stessi.
E uscire dalla zona di comfort diventa una necessità impellente, una scelta, un cambiamento che non può più aspettare, va assecondato e prenderne atto è il primo passo, l'accettazione di un bisogno che se restasse inascoltato scaverebbe solchi profondi su di noi e come cicatrici segnerebbero la nostra pelle. Per sempre.
Vogliamo, un giorno, guardarci indietro e rimpiangere di non aver trovato il coraggio per affrontare il rischio? Lo vogliamo davvero?

"C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà."
Albert Einstein

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