lunedì 13 marzo 2017

L'orchestra

     Scrivere come piacevole passatempo o come costante esercizio mentale, scrivere perché se ne sente il bisogno o perché si ha qualcosa da dire. Si può scrivere per tanti motivi, io lo faccio perché è una necessità, un bisogno di svuotare la mente e creare storie e trame, personaggi e ambientazioni. Di seguito un esercizio che ho svolto durante il corso di scrittura creativa presso la Scuola Carver, incentrato sul focus tra personaggio e ambientazioni.


L’orchestra.

Il fischio del capotreno riempì l’aria di addii soffocando i saluti tra la donna col cappotto rosso e l’uomo smunto e allampanato che le stava di fronte. Lui abbassò la visiera del cappellino coprendosi il viso pallido e con passo pesante si avviò verso l’uscita della stazione. Claudicante a causa di un proiettile che aveva reso la sua andatura incerta, trascinò gli scarponcini in pelle di coccodrillo oltre le porte a vetri della palazzina stile liberty per raggiungere il parcheggio, dove una Jaguar nera lo attendeva col motore acceso.
«È andata» disse Klaus che sprofondando nel sedile richiuse la portiera. Diede un’occhiata all’orologio: «Abbiamo qualche ora prima dell’arrivo di Emma.» Si sbottonò la giacca e accompagnò alla bocca il sigaro che aveva l’abitudine di portare nel taschino interno, senza mai realmente fumarlo. «Una puntatina ai cavalli?»
«Eh, perché no.» Gabriele ingranò la prima e partì facendo stridere le gomme.
Il lungo viale ornato di platani secolari che dalla stazione portava al centro cittadino era un tappeto di foglie di ogni gradazione di rosso. La Jaguar lo percorse a gran velocità, incurante delle numerose pozzanghere che avrebbero schizzato chi camminava lungo il marciapiede.
«Voglio portarla al Ristorante La Rocca. Se lo merita» disse Klaus fissando un punto indefinito oltre il parabrezza.
«E l’appuntamento con Baldini stasera, per la consegna?»
«Possiamo vederlo dopo che l’avrò riaccompagnata in albergo. Meglio se non s’incontrano.»
L’auto s’incanalò nel flusso del traffico mattutino, tra finestrini appannati per la forte umidità e pedoni avviluppati in giacche e cappotti, autobus fermi davanti alle pensiline e fastidiosi lavori in corso. Uscirono velocemente dalla città lasciandosi inghiottire dalla fitta nebbia della periferia in direzione dell’ippodromo.
«Pensi che Emma manterrà la promessa?» chiese Gabriele con aria cupa. «Di andarsene.»
«Vuole cambiare aria, partirà con sua madre. Parlava del Sudamerica.»
«Quindi non la vedremo mai più» strinse con forza il volante e le nocche impallidirono.
«Lascia perdere, non le sei mai piaciuto. Niente scenate, chiaro? E poi lei non ci serve più, meglio che sparisca.» Klaus diede attenzione a ciò che scorreva oltre il finestrino alla sua destra mettendo fine alla conversazione. Non vide lo sguardo rabbioso di Gabriele alle sue spalle.

Quella sera avrebbero festeggiato il loro ultimo colpo da maestri, organizzato fin nei minimi dettagli e portato a segno da una squadra ben addestrata. Era come un’orchestra, ogni membro doveva mantenersi al proprio posto a suonare lo strumento che conosceva meglio, limitarsi ad eseguire la parte assegnata evitando di improvvisare. Sapevano bene che per nessun motivo era consentito contraddire Klaus, il direttore di quell'orchestra; colui che muovendo la bacchetta dirigeva il ritmo di violini e contrabbassi, clarinetti e tromboni, creando di volta in volta le giuste sinfonie e un’esecuzione impeccabile, con tanto di coup de theatre finale.

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