martedì 11 aprile 2017

Slow motion

Raccontare un'esperienza attraverso un esercizio di scrittura. L'apparizione improvvisa di un animale sulla scena, un attimo che modifica lo scorrere del tempo. E le reazioni umane, le emozioni che produce in chi ne diventa testimone.


"Siamo in viaggio da meno di un’ora, l’autostrada è circondata dal buio e come un placido fiume d’asfalto si lascia solcare dalla nostra auto nella quasi totale assenza di altri mezzi. Guard rail a destra, siepe a sinistra. Mancano pochi chilometri alla nostra uscita.
In auto nessuno parla, sono quasi le due e qualcuno si è appisolato, i bambini dormono esausti per la giornata piena, mio marito guida ascoltando la radio a un volume così basso che il suono riempie a malapena la parte anteriore di abitacolo. Sono seduta dietro, nel posto centrale. Osservo la strada e mi lascio ipnotizzare dalla striscia di metà carreggiata: i suoi tratteggi mi conducono in un altrove leggero dove il sonno si fa pesante sulle palpebre e fare resistenza è davvero difficile. Ma non voglio dormire, devo parlare di tanto in tanto per assicurarmi che mio marito non venga vinto da un colpo di sonno.
Sto per abbandonarmi all’insistenza delle palpebre quando in una frazione di secondo un numero imprecisato di immagini, pensieri e reazioni umane si accavallano. Qualcuno deve aver premuto il tasto slow motion: una macchia cangiante si materializza di fronte a noi. Un cane dal pelo candido, di grosse dimensioni sbuca dalla siepe, si immobilizza, la luce dei fari rende i suoi occhi due fessure spettrali. Mio marito ha a malapena il tempo di formulare il pensiero di spostare il piede dall’acceleratore al freno. Grido terrorizzata. Non si sposta, non farà in tempo a spostarsi, non faremo in tempo a frenare, lo stiamo investendo. Chi si era addormentato viene svegliato di soprassalto dalle mie grida e dallo stridore della frenata. Gli siamo addosso, i fari si spengono, l’animale colpisce la nostra auto e finisce sotto le ruote.
I bambini si sono svegliati e piangono per lo spavento. L’auto sbanda leggermente e un attimo dopo siamo fermi sulla corsia d’emergenza, con le frecce posteriori come unica segnalazione della nostra presenza.
Siamo tutti scossi, l’auto è danneggiata, non si riaccende. Paraurti, targa e altri componenti sono andati persi, inghiottiti dal buio. Del grosso cane nessuna traccia, non è certo sopravvissuto ad un impatto con un’auto a centotrenta chilometri orari. Sono colpita da una doccia fredda fatta di rabbia, dolore e sollievo. Perché è impensabile un’autostrada senza barriere che impediscano l’attraversamento di persone e animali; è tremendo guardare negli occhi un animale con la certezza che sta per morire di una morte violenta a causa tua; ma poteva andare peggio, potevamo sbandare e finire fuori strada. Poi succede qualcosa che non mi aspetto, sono seduta accanto al guard rail e mi sento svuotata e un senso di leggerezza mi invade: in fondo stiamo bene, i bambini si sono già riaddormentati, il cugino di mio marito sta venendo a prenderci e ci trainerà fino a casa. Domani penseremo alla macchina e a come affrontare il viaggio di ritorno in Italia.
Passeranno molte notti prima che quegli occhi di spettro smettano di entrare nei miei sogni fissandomi con insistenza.


E se… se mio marito quella sera non si fosse abbandonato a un’azzardata inversione a u nel centro di Rabat, l’agente non ci avrebbe visto, fermato e fatto una multa. Se non avessimo perso quei dieci minuti, quel cane sarebbe uscito dalla siepe dopo il nostro passaggio e forse sarebbe ancora vivo. Forse."

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